lunedì 6 febbraio 2017

Scrivere per non perdermi, per non disancorarmi da me stessa

È importante dire che, prima di trasferirmi a New York, non avevo mai scritto se non per dovere: temi al liceo, tesi di laurea e di abilitazione, documenti professionali.
La voglia o meglio l'urgenza di racconto è esplosa a New York, per colmare l'assenza delle persone con cui fino ad allora avevo diviso l'esistenza, forse per saturare un vuoto. In quella città che aveva imprevedibilmente spaccato in due la mia vita proiettandomi in un altrove dove mi sarei dovuta reinventare tutto, perfino la lingua della sopravvivenza, le cose che andavo scoprendo in una sorta di non indolore "festa mobile" imponevano di essere raccontate. Non solo perché ne valeva la pena, ma perché se non l'avessi fatto avrei rischiato di perdermi, di disancorarmi da me stessa. Per "stare" a New York avevo bisogno di non rimuovere quel che avevo lasciato, di tenermelo amorosamente accanto in un dialogo ininterrotto. 
La scrittura si è presentata come il solo strumento capace di cancellare la distanza, creando uno spazio di condivisione, facendosi ponte tra due estremi spaziali e temporali. La scrittura, nemica del silenzio.

dall'introduzione dell'autrice

Maria Nadotti
Prove d'ascolto
Incontri con artisti e saggisti del nostro tempo 
edizioni dell'asino 2011

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