sabato 31 ottobre 2015

a disegnare il tempo come una linea stordita, sempre al cadere di una pagina

Si ricordava di lui e, per amore, anche se pensava 
a un serpente, avrebbe detto solo un arabesco; e avrebbe nascosto 
nella gonna il morso caldo, la ferita, l’impronta 
di tutti gli inganni, avrebbe fatto quasi tutto

per amore: avrebbe dato il sonno e il sangue, la casa e la felicità,
e avrebbe custodito silenziosi i fantasmi della paura, che sono
i padroni delle più grandi verità. Già un’altra volta aveva mentito

e per amore si sarebbe seduta alla tavola di lui
e avrebbe negato che lo amava, perché amarlo era un inganno
ancora più grande che mentirgli. E, per amore, si mise

a disegnare il tempo come una linea stordita, sempre
al cadere di una pagina, a prolungare il mancato incontro.
E faceva stelle, anche se pensava alle croci;
arabeschi, anche se ricordava solo serpenti.

Maria do Rosário Pedreira
traduzione di Mirella Abriati

da “La casa e l’odore dei libri”, Librati Edizioni, 2008

***

Lembrava-se dele…

Lembrava-se dele e, por amor, ainda que pensasse
em serpente, diria apenas arabesco; e esconderia
na saia a mordedura quente, a ferida, a marca
de todos os enganos, faria quase tudo

por amor: daria o sono e o sangue, a casa e a alegria,
e guardaria calados os fantasmas do medo, que são
os donos das maiores verdades. Já de outra vez mentira

e por amor haveria de sentar-se à mesa dele
e negar que o amava, porque amá-lo era um engano
ainda maior do que mentir-lhe. E, por amor, punha-se

a desenhar o tempo como uma linha tonta, sempre
a cair da folha, a prolongar o desencontro.
E fazia estrelas, ainda que pensasse em cruzes;
arabescos, ainda que só se lembrasse de serpentes.

Maria do Rosário Pedreira

de “A Casa e o Cheiro dos Livros”, Editor Gótica, Lisboa, 2001

venerdì 30 ottobre 2015

Ricorda le lunghe giornate di giugno e le fragole, le gocce di vino rosé

Prova a cantare il mondo mutilato.
Ricorda le lunghe giornate di giugno
e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano
le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato.
Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio,
o soltanto da un nulla salmastro.
Hai visto i profughi andare verso il nulla,
hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato.
Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme
in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato
e la piccola penna grigia persa dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce
e ritorna.

Adam Zagajewski 
Dalla vita degli oggetti
Poesie 1983-2005
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

giovedì 29 ottobre 2015

Nel mezzo l’acqua tranquilla, l’onda indifferente

Il fiume

Dalle poesie poesie, dai canti 
canti, dai quadri quadri, 
continua sempre l’amichevole 
fecondazione. Sull'altra riva 
del fiume, nel raggio dell’esistenza, 
marciano i soldati. L’armata nera, 
l’armata rossa, l’armata verde, 
arcobaleno di ferro. Nel mezzo l’acqua 
tranquilla, l’onda indifferente. 

Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

mercoledì 28 ottobre 2015

Ore arancioni, o rosa: l'alba e la sera in autunno come specchi accesi

Ore arancioni, o rosa: l'alba e la sera in autunno.
Le piccole foglie gialle cadute dall'acacia formano sulla terra bruna tanti bagliori immobili, muti, come specchi accesi.
Ottobre 1975

Philippe Jaccottet
Appunti per una semina
(Poesie e prose 1954-1994)
La semina (1971 e 1984)
traduzione di Antonella Anedda
Fondazione Piazzolla 1994

martedì 27 ottobre 2015

Scrivere è sentire le parole che navigano nell'aria

Mi sembra di aver capito alcuni ritmi della mia lingua e di affidarmi a quelli. Tutto incerto quello che si scrive, nessun valore intrinseco nelle parole, non si dimostra mai niente, non si stabilisce mai niente, non si arriva mai ad una salda roccia madre dove piantare le nostra bandiera e dire:«Ecco, voi dovete sapere che io scrivo per questo e per quest’altro».
Sì, si può farlo. Ma allora è come fare i professori universitari, si può dire tutto, una cosa vale l’altra, si parla solo perché si è su una cattedra. Noi ci attiriamo e respingiamo con i ritmi, i toni, le curve delle frasi, il cipiglio, il labbro duro o socchiuso, gli occhi spenti o gli occhi che fanno lumetti. Quello che diciamo, la sostanza, il contenuto, è l’antichissima illusione di parlare e di essere davvero diversi dagli altri benedetti animali.
Questa mia risposta è chiaramente un momento di malumore contro il totalitarismo corrente, quello che interpreta tutto in base alla presenza o assenza di «realismo». Ma i nostri ritmi non c’entrano niente con il realismo, loro sono proprio fatti perché le parole navighino nell'aria, siano emissione di fiato, battito, musica.
Tutti i racconti nascono da toni sentiti, annidati nelle parole, e se nascono da un’idea realistica si vede subito, perché sono musicalmente grevi. Ritmi morti sulla pagina e sordità dell’orecchio: non c’è mica da vantarsi, ma lo sanno tutti che uno stonato non ha la minima idea di cosa lo separi dalla musica.
Andarglielo a spiegare? Impossibile, di nuovo si vede che le parole non servono. Può darsi che un giorno s’innamori, o gli caschi il tetto sulla testa, e allora apre un occhio, scruta, ascolta e sente qualcosa: il resto riguarda solo lui, e l’amore che ha per la lingua.

Gianni Celati
Perché scrivete ? Rispondono 109 scrittori italiani
Nord- Est

a cura di Ferdinando Camon
Garzanti 1989


lunedì 26 ottobre 2015

Per riuscire a vedere qualsiasi cosa bisogna conoscere l'intensità dell'amore

È autunno. Le foglie hanno cambiato colore. 
Cadono a centinaia, anche se non c’è vento. 
Penso che per riuscire a vedere qualsiasi cosa – una foglia o un filo d’erba – bisogna conoscere l’intensità dell’amore. 

John Cheever
I racconti
Il quarto allarme
Feltrinelli 2012

domenica 25 ottobre 2015

in un istante abbraccio il cerchio intero del cielo



Oggi una poesia meravigliosa di Philippe Jaccottet in quattro diverse traduzioni: le prime di due tra i più grandi poeti italiani contemporanei: Antonella Anedda e Fabio Pusterla, la terza è mia e la quarta di Elisabetta Giromini.


Ed ora io tutto intero nella cascata celeste
avvolto nella chioma dell'aria,
qui, il manto delle foglie più lucenti,
sospeso meno in alto della poiana,
io guardo,
ascolto - e le farfalle sono altrettante fiamme perdute,
e le montagne fumi-,
un istante, il tempo di abbracciare intorno a me l'intero cerchio
                                                          del cielo,
forse, morte compresa.

Non vedo quasi più nulla, solo la luce,
gridi di uccelli lontani ne sono i nodi,

e la montagna?

Cenere lieve
ai piedi del giorno.

Philippe Jaccottet
Appunti per una semina
(Poesie e prose 1954-1994)
Lezioni (1971-1977)
traduzione di Antonella Anedda
Fondazione Piazzolla Roma 1994

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E io adesso intero nella cascata celeste,
avvolto nella capigliatura dell'aria,
qui, pari alle foglie più luminose,
appena meno in alto della poiana, sospeso,
che guardo
che ascolto
- e le farfalle sono simili a fiamme disperse,
le montagne a dei fili di fumo -,
per un istante, se abbraccio intero il cerchio del cielo
che mi circonda, vi credo la morte compresa.

Non vedo quasi più nulla se non luce,
i gridi di uccelli lontani sono i suoi nodi,

la montagna?

Leggera cenere
ai piedi del giorno.

Alla luce dell'inverno
Pensieri sotto le nuvole
Marcos y Marcos 1997
traduzione di Fabio Pusterla

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E io adesso tutto intero nella cascata celeste,
avvolto nella chioma dell’aria
qui, pari alle foglie più luminose,
volo in alto quasi come la poiana
io guardo
io ascolto
- e le farfalle sono come fiamme perdute
le montagne  fumo leggero
in un istante abbraccio il cerchio intero del cielo
intorno a me, forse la morte compresa.

Non vedo quasi altro che la luce
le grida di uccelli lontani ne sono i nodi

la montagna?

Leggera cenere

ai piedi del giorno.

traduzione di Elena Petrassi

E adesso io tutto intero nella cascata celeste
Avvolto tra i capelli dell'aria
Qui, pari alle foglie più luminose,
Sospeso subito sotto al rapace
Che guardo
Che ascolto
- E le farfalle sono altrettante fiamme perdute,
Le montagne altrettanti sbuffi di fumo -
Un istante baciare l'intero cerchio del cielo
Attorno a me, credo la morte sia compresa
Non vedo quasi più altro che luce
Le grida di uccelli lontani ne sono l'intreccio
Le montagne?
Leggera cenere
Ai piedi del giorno.

traduzione di Elisabetta Giromini
(aggiunta il 25/02/2022)


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Et moi maintenant tout entier dans la cascade céleste,
enveloppé dans la chevelure de l'air
ici, l'égal des feuilles les plus lumineuses,
suspendu à peine moins haut que la buse
regardant
écoutant
- et les papillons sont autant de flammes perdues,
les montagnes autant de fumées-
un instant d'embrasser le cercle entier du ciel
autour de moi, j'y crois la mort comprise

Je ne vois presque plus rien que la lumière
les cris d'oiseaux lointains en sont les nœuds

la montagne?

Légère cendre
au pied du jour.

sabato 24 ottobre 2015

le piogge dietro le finestre passano volando

Angolini

Autunno
le piogge dietro le finestre passano volando
le castagne si spaccano
saltellano
i ragazzi dalla scuola corrono
con un allegro grido
frantumano l’acqua

le cicogne sono volate via
soltanto un passero
col pelo rizzato nero
come un piccolo spazzacamino
aspetta le briciole
di pane del sole

la sera le nebbie si trascinano
per le strade

un uomo
va
sul globo terrestre
con la testa immersa
nell'universo

i ragazzini
non mettono nelle bottiglie
gli spinarelli argentati
e i neri girini

le ragazzine non intrecciano ghirlande
di calta palustre
e di azzurri nontiscordardimé

viene l’inverno

Tadeusz Różewicz

dal blog Un'anima e tre ali - il blog di Paolo Statuti

venerdì 23 ottobre 2015

Come attraversare la porta che conduce all'immaginazione

Esiste una porta che conduce all'immaginazione e bisogna
attraversarla per diventare consapevoli; le sue chiavi sono i
simboli. Si possono portare idee al di là di quella porta... 
ma bisogna farlo sotto forma di simboli.

Frank Herbert & Bill Ransom
Salto nel vuoto
The Jesus Incident
URANIA 1221 - 1979

giovedì 22 ottobre 2015

è sera cade una neve latina, nessuno verrà più oggi

Nell’enciclopedia di nuovo non c’è posto
per Osip Mandel’štam di nuovo è senza un tetto
è sempre così difficile trovare un alloggio
registrarsi a Mosca è quasi impossibile
lo chiama il Caucaso echeggia la bassa foresta
dell’Asia quei giorni non sono ancora giunti
altri raccolgono ciottoli sulle spiagge del Mar Nero
continua sempre l’iniqua istruttoria sebbene l’uniforme
mostri un taglio nuovo e un sarto sempre diverso
senza volto s’inabissi in inchini profondi
Chiudi il libro un fragore di sparo e la polvere
bianca della carta solletica il naso è sera
cade una neve latina nessuno verrà più oggi
è tempo di dormire quando busserà alla tua porta sottile
aprigli. 




Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

mercoledì 21 ottobre 2015

poeta è colui che va via e colui che andar via non può

Chi è poeta

poeta è colui che scrive versi
e colui che i versi non scrive

poeta è colui che si toglie le catene
e colui che le catene si mette

poeta è colui che crede
e colui che credere non può

poeta è colui che mentiva
e colui al quale hanno mentito

poeta è colui che mangiava dalla mano
e colui che mozzava le mani

poeta è colui che ha la bocca
e colui che ingoia la verità

poeta è colui che cadeva
e colui che si rialza

poeta è colui che va via
e colui che andar via non può

1962

Tadeusz Różewicz

dal blog Un'anima e tre ali - il blog di Paolo Statuti

martedì 20 ottobre 2015

Con la matita in mano apro i gusci delle lettere

Nella quiete

Con la matita
in mano
         apro
i gusci delle lettere

Il silenzio 
acconsente
alla crescita
         alla sbarra
         della voce


Andriana Škunca
Antologia della poesia croata contemporanea
a cura di Marina Lipovac Gatti
Hefti 1999

lunedì 19 ottobre 2015

il cuore è un'oca selvatica al vento, una foglia selvatica

L'oca selvatica

Ieri era estate, e oggi è già autunno,
il cuore durante la notte è diventato giallo e ora
è una foglia al vento, o meglio, un'oca selvatica,
veramente un'oca selvatica; ieri era estate
e oggi è già autunno, il cuore è un'oca selvatica
al vento, una foglia selvatica


Luko Paljetak
Antologia della poesia croata contemporanea
a cura di Marina Lipovac Gatti
Hefti 1999

domenica 18 ottobre 2015

rammentare le sillabe, i suoni e gli intervalli tra loro

Qualche volta durante una passeggiata per i campi
oppure in un bosco verde e solitario,
odi brandelli di voci, forse invocazioni;
non vuoi credergli e affretti il passo,
e quelle ti seguono da presso
come animali addomesticati.

Non vuoi credergli ma poi
in una affollata strada di una grande città,
ti rincresce l’essere stato disubbidiente
e provi a rammentare
le sillabe, i suoni e gli intervalli tra loro.

Ma è già troppo tardi
e non potrai mai più dimostrare
chi ha cantato, quale musica
e qual’era in essa il richiamo.

Adam Zagajewski
traduzione  di Lorenzo Pompeo
dalla rivista “Zeszyty Literackie” , 1993
pubblicato sul sito poesiainrete

sabato 17 ottobre 2015

Non ricordavo un ottobre così a lungo sereno

Sereno d'autunno

Non ricordavo un ottobre
così a lungo sereno,
la terra arata
pronta per la semina,
spartita da viti rossastre
molli come ghirlande.

Ma non ditemi non ditemi
che è una stagione clemente:
il fumo che la stria
sale da foglie che non sono più,
le cene brillano sparse.
Perché non si aspettano i morti?

Attilio Bertolucci
Il viaggio d'inverno
Garzanti 1971

venerdì 16 ottobre 2015

sul libro curva per leggere meglio nella luce morente del giorno

In questi giorni penso al vento fra i tuoi capelli,
agli anni che fui nel mondo prima di te
e all'eternità che prima di te andrò a incontrare,

ai proiettili che non mi uccisero in battaglia
ma uccisero i miei amici,
di me migliori perché
non vissero oltre come me,
penso a te nuda davanti al fornello d’estate,
sul libro curva per leggere meglio
nella luce morente del giorno.

Vedi, abbiamo vissuto più di una vita,
ora dobbiamo pesare ogni cosa
sulla bilancia dei sogni e sguinzagliare
ricordi che divorino ciò che fu il presente.

Yehuda Amichai
Poesie
traduzione di Ariel Rathaus 
Crocetti Editore, 1993

giovedì 15 ottobre 2015

a Milano certi giorni sembra di essere a Londra

Due bassotti con cappottini stravaganti, un uomo che cammina con un navigatore che gli suggerisce la strada, una donna vestita di nero con un ombrello rosso, una donna vestita di grigio con un ombrello arancione.
Nella solita pasticceria un uomo anziano elegante, accompagnato da un bracco, ordina un cappuccino con il cacao e poi estrae dalla tasca un sacchettino di stoffa rossa e ne estrae 4 biscotti del Mulino Bianco. In metropolitana un gruppetto di ragazze siciliane vestite come per andare a una festa stanno andando invece a Expo. Nugoli di francesi che consultano cartine perché si sono persi, nugoli di inglesi che alle sei del pomeriggio già affollano i pub.
Una scrittrice che cammina senza ombrello, lo sguardo svagato ma curioso.
Una ragazza legge L'uomo senza qualità su una panchina. Un'altra ragazza legge Gita al faro di Virginia Woolf sulla banchina. 
La Darsena è così bella che a volte sembra di stare su un'ansa del Tamigi.
(Ma a volte anche sull' Île Saint-Louis a Parigi).
I gelsomini dell'anno che verrà dormono nel cuore dei rami autunnali, l'albero bellissimo davanti alla finestra ha iniziato a rinunciare alle foglie.
Un vento improvviso strappa foglie e ombrelli che non oppongono resistenza.
La partenza delle rondini che non abbiamo visto, ma ora sentiamo il silenzio della loro assenza.
E la pioggia, una pioggia sottile che da giorni scende sulla città e impregna ogni cosa senza tregua.
Ecco perché a Milano certi giorni sembra di essere a Londra.

E.P.

mercoledì 14 ottobre 2015

Scrivere sul confine tra realtà e finzione

Esce in tutto il mondo Dictator ultimo volume della trilogia su Cicerone. L'autore, Robert Harris, ex giornalista politico della Bbc divenuto scrittore di grandissimo successo, ci accompagna per l'occasione in una passeggiata per luoghi ciceroniani. 
La prima tappa è un muro, nascosto nel giardino di una casa privata. Quello che resta della villa dove il più celebre degli oratori ha vissuto a lungo. Da qui ha scritto molte lettere all'amico Attico: «Sono servite come fonti per il mio lavoro», spiega Harris. «Ho impiegato dodici anni per concludere la trilogia, e i primi due solo per raccogliere documenti». 
Racconta del suo metodo di lavoro e dei confini morali di uno scrittore: «Come giornalista so di non dover mai scrivere una cosa che sia evidentemente falsa. Ma sono un romanziere, e ho anche il dovere di inventare: le conversazioni, le motivazioni politiche, certi piccoli segreti della vita privata delle persone. Devo fare ipotesi, speculare. E soprattutto tagliare, tralasciare, eliminare. Lì, nel montaggio, si stabilisce il confine tra realtà e finzione. La diversa velocità nel dipanarsi degli eventi, la progressione, l'incalzare. Si può dire che il mio lavoro consiste nel fare tutto ciò che è vietato agli storici e gli studiosi». 
La trilogia, nella finzione letteraria, ricalca una biografia di Cicerone scritta da Tirone, schiavo, segretario, e infine appunto di lui biografo, che nella realtà è andata perduta: «Tirone non avrebbe mai scritto un libro come questo. Il mio è decisamente un libro del XXI secolo, che tiene conto di Freud, della nostra storia di quello che abbiamo visto accadere».
La nostra seconda stazione è una cisterna. Camminiamo su un corridoio di legno sospeso sopra l'acqua: «Credo sia sbagliato — spiega Harris — pensare che la fiction storica sia una fuga dalla realtà contemporanea. Ho sempre affrontato la narrazione come se stessi parlando del presente. Qualche anno fa, a Pompei, sono rimasto colpito dall'abilità, l'intelligenza tecnologica degli acquedotti romani. L'uso dell'acqua mi ha fatto riflettere sulla raffinatezza di quella civiltà, l'amore per il lusso. E attraverso tutto questo sono arrivato a Cicerone».

incipit dell'intervista di Elena Stancanelli a Robert Harris
Repubblica martedì 13 ottobre 2015

martedì 13 ottobre 2015

Il tempo e il paesaggio, lo spazio vuoto, il buio e la luce, l'acqua e i boschi, il ghiaccio e la primavera che esplode

Oggi trascrivo da un'intervista interessante una domanda e una riposta, perché non solo sono d'accordo con l'intervistata, ma le parole che lei sceglie sono tra le mie parole preferite.
E.P.



Qual è il carattere che ti sembra più distintivo della narrativa scandinava?

Il tempo. Credo sia generalmente più lento nei libri dal Nord. Lo spazio è più vuoto. La realtà e i gesti sono descritti nel dettaglio. Banalmente, mi affascina il paesaggio che sempre fa da cornice a queste storie: il buio e la luce, l'acqua, i boschi, il ghiaccio e la primavera che esplode.

frammento dell'intervista di Giuliano Aluffi a Francesca Varotto - editor di Marsilio - che ha lanciato in Italia la trilogia Millennium di Stieg Larsson.
Repubblica Sera 12 ottobre 2015

lunedì 12 ottobre 2015

Estate di lino, cauto autunno, impercettibile inverno

Tanto mi accese la febbre di morte che il mio bagliore si 
               rifranse nel sole. 

E ora m’invia alla perfetta sintassi della pietra e 
               dell’aria. 

Dunque, quello che cercavo, sono

Estate di lino, cauto autunno 

Impercettibile inverno

La vita paga l’obolo della foglia d’olivo

E nella notte degli insensati con un piccolo grillo di nuovo decreta 
             la legalità dell’Imprevisto.

Odisseas Elitis
È presto ancora
a cura di Paola Maria Minucci
Donzelli editore 2000

domenica 11 ottobre 2015

Miei segni particolari: incanto e disperazione

Il cielo

Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.

Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.

Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.

Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.

Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.

La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.



Wisława Szymborska
La gioia di scrivere
Tutte le poesie (1945-2009)
La fine e l’inizio” (1993
traduzione di Pietro Marchesani
Adelphi Edizioni, 2009

sabato 10 ottobre 2015

Su te vegliano i libri, in file ordinate

Oggi non dormirai. Tanto è il chiarore alla finestra.
Sulla città s’innalzano i fuochi d’artificio.
Non dormirai, sono accadute troppe cose.
Sulla città s’innalzano i fuochi d’artificio.
Non dormirai, sono accadute troppe cose.
Su te vegliano i libri, in file ordinate.
A lungo penserai a ciò che è accaduto
e a ciò che non è stato. Oggi non dormirai.
Le tue palpebre rosa si ribelleranno,
avrai gli occhi arrossati, bruceranno,
il cuore gonfio di ricordi.
Non dormirai. Si aprirà l’enciclopedia
e ne usciranno i vecchi poeti, vestiti con cura,
al riparo dal freddo. Si aprirà la memoria,
come un paracadute, con un sibilo improvviso.
Si aprirà la memoria e tu non dormirai,
ti cullerai tra le nuvole, bersaglio
mobile e chiaro dei fuochi d’artificio.
Non dormirai mai più, troppo ti è stato
detto, troppo è accaduto.
Eppure ogni goccia di sangue potrebbe
scrivere la sua Iliade scarlatta.
Ogni alba potrebbe essere autrice
di cupe memorie. Non ti addormenterai
sotto la spessa coltre di tetti, solai, camini
che gettano verso l’alto una manciata di cenere.
Le notti in bianco fluttuano nel cielo silenziose
e i remi frusciano, calze di seta.
Uscirai nel parco e i rami
ti batteranno amichevolmente sulle spalle,
per cresimarti un’altra volta, come se non fossero
certi della tua promessa. Non dormirai.
Correrai per il parco deserto, diventerai
un’ombra, incontrerai altre ombre. Penserai
a qualcuno che non c’è più e a qualcuno
che vive con tale intensità che questa vita ai margini
si trasforma in amore. Sempre più luce
si affolla nella stanza. Oggi non dormirai.

Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti
Poesie 1983-2005
a cura di Krystyna Jaworska

Adelphi 2012

venerdì 9 ottobre 2015

il tempo non esiste. È un pesce volante e da qualche parte al di sopra ci siamo noi

  (a Chagall)

Non sono mai riuscito a morire. L’immortalità 
è il pesce volante dei miei sogni, l’ho immerso nelle tempere, 
impastato con oli, cromo e cinabro,
l’ho visto fluire sulla casa e sui prati.

Non c’erano confini, su ali angeliche
arrivava sempre la stessa melodia di violino, ballavano
gatti dal volto umano e uomini dalla testa caprina.
Eravamo ogni cosa, tutte le creature;

su quelle ali siamo usciti dai pogrom, il cielo 
si capovolgeva su Vitebsk e su Parigi e le nuvole 
cadevano, dai crematori ci libravamo in una scia di fuliggine, 
tu portavi un abito da sposa col velo e vivevamo per sempre,

nati così tanti anni fa, che ricordo i primi
colori e quel pesce che dalla finestra s’involava. Non è vero
che non pensavo alla morte, è che lei si rivelò
un sogno, un’altra vita. Chiedevo
a tutti, dappertutto, dove fosse il limite e non
ci fermavamo in nessun posto. Il tempo non conosce confini,
il tempo non esiste. È un pesce volante e da qualche parte
al di sopra ci siamo noi, il nostro amore, il nostro nascere eterno.

Tomasz Różycki
Antimondo
traduzione di Leonardo Masi e Alessandro Ajres
Edizioni della Meridiana 2010

giovedì 8 ottobre 2015

come quest’autobus notturno: molti finestrini illuminati, molto viso di lei

Mi ha assalito un’acre nostalgia,
come la gente d’una vecchia foto che vorrebbe
tornare con chi la guarda, nella buona luce della lampada.

In questa casa, penso a come l’amore
in amicizia muta nella chimica
della nostra vita, e all'amicizia che ci rasserena
vicini alla morte.
E quanto è simile ai fili sparsi la nostra vita
che più non sperano di tessersi in altro ordito.

Giungono dal deserto voci impenetrabili.
Polvere che profetizza polvere. Passa un aereo e ci chiude
sotto la lampo di un grosso sacco di destino.

E il ricordo di un viso amato di ragazza
trascorre per la valle, come quest’autobus notturno: molti
finestrini illuminati, molto viso di lei.

Yehuda Amichai
Poesie
traduzione di Ariel Rathaus
Crocetti Editore 1993

mercoledì 7 ottobre 2015

Questi ricordi sono tuoi

Sfoglia i tuoi ricordi
cuci per loro una coperta di stoffa.
Scosta le tende e cambia l’aria.
Sii per loro cordiale, leggero.
Questi ricordi sono tuoi.
Pensaci mentre nuoti
nel mare dei Sargassi della memoria
e l’erba marina crescendo ti cuce la bocca.
Questi ricordi sono tuoi,
non li dimenticherai fino alla fine.

Adam Zagajewski
traduzione di Paola Malavasi
Poesia Anno XVII, Maggio 2004, N. 183, Crocetti Editore

martedì 6 ottobre 2015

Scrivere è la cosa migliore dello scrivere

... esorto a scrivere chiunque ne senta la vocazione. Solo, voglio che chi decide di farlo sappia che vedersi pubblicare un libro è meno emozionante di quanto si pensi. Scrivere, invece, sì che lo è. La scrittura ha moltissimo da offrire e da insegnare ed è piena di sorprese. Quella cosa che all'inizio dovevate costringervi a fare - l'atto stesso di scrivere - alla fine si rivela la parte migliore. È come credere che la cerimonia del tè serva per ingerire un po' di teina e scoprire invece che è la cerimonia del tè ciò di cui avete davvero bisogno. Scrivere è già una ricompensa di per sé.

Anne Lamott
Scrivere
Lezioni di scrittura creativa
De Agostini 2011

lunedì 5 ottobre 2015

Niente che resti non amato

La poesia

Tanto d'amore viene
e sostiene. Niente che resti
non amato.

Mariangela Gualtieri
Le giovani parole
Einaudi 2015

domenica 4 ottobre 2015

Il vuoto si difende. Non vuole che una forma lo torturi

ll vuoto e le forme

L’inseguimento, la lotta
sull'orlo invisibile,
le immagini afferrate, già credute
nostre, ed in un istante
ridivenute nebbia,
il deluso ritorno –
di cacciatore a cui toccò soltanto
uno stormir di frasche e il breve lampo grigio
della lepre che a balzi si salva tra i cespugli;
di pescatore la cui lunga attesa
finì in un guizzo ironico di carpa,
quella beffa d’argento sull'amo appena sfiorato…
Come siamo sconfitti!
Come ci cadono di mano le inutili armi!
La pietra resta pietra, il foglio una frusciante
assenza, la tastiera
ostinato silenzio.

Il vuoto si difende.
Non vuole che una forma lo torturi.

Margherita Guidacci
Il vuoto e le forme
1977 
in Le poesie 
a cura di Mauro Del Serra
Casa Editrice Le Lettere 1999

sabato 3 ottobre 2015

così anche la mia favola cancelli, e veli del suo fuoco anche il mio nome

Preghiera tra la notte e il giorno


All'ora incerta in cui la muta dei fantasmi
fa ressa alle finestre, e in gran subbuglio
per un’esitazione tra ombra e giorno
minaccia bisbigliando la chiarezza,

un uomo prega: gli è distesa accanto
la splendida guerriera inerme e nuda;
poco distante giace il loro erede,
tenendo stretto come stelo il tempo.

«Una preghiera dentro la paura, ardua a esaudire,
specie senza soccorso dall'esterno; una preghiera
detta dentro il crollo delle città,
la fine della guerra, i morti in folla:

perché la dolce aurora, la tenace,
la luce quando giunge sui crinali, se allontana
la lieve luna, così anche la mia favola cancelli,
e veli del suo fuoco anche il mio nome».


Philippe Jaccottet
Il barbagianni. L’ignorante
traduzione di Fabio Pusterla
Einaudi 1992

***

Prière entre la nuit et le jour 

A l’heure vague où les fantômes en grand nombre
se pressent contre les fenêtres, ameutés
par une hésitation entre le jour et l’ombre
et menaçant de leurs murmures la clarté,

un homme prie: à ses côtés est étendue
la très belle guerrière désarmée et nue ;
non loin repose l’héritier de leurs batailles,
il tient le Temps serré dans sa main comme paille.

«Une prière dite dans la crainte, difficile
à exaucer, surtout sans le secours du dehors;
une prière dans l’ébranlement des villes,
dans la fin de la guerre, dans l’afflux des morts:

pour que l’aurore, avec sa tendresse tenace,
pour que l’entrée de la lumière au ras des monts,
comme elle éloigne la lune légère, efface
ma propre fable, et de son feu voile mon nom».

Philippe Jaccottet
Poésies 1946-1967
Gallimard 1971

venerdì 2 ottobre 2015

Scrivere è volgere l'esperienza. con una lenta rotazione, verso la luce

(...) Soprattutto era un'estranea: una straniera, come Kafka. Se voleva scrivere, se cercava di diventare completamente straniera per trovare una patria, - doveva affondare la penna in questa mancanza, in questo lato nudo, misero, spoglio, che giaceva là in fondo, sotto i suoi splendori apparenti e le sue ricchezze da pappagallo. Non era mai esistita una creatura che conoscesse una così ricca mancanza. Portava con sé reti prensili, mobili, onniavvolgenti: le quali coglievano migliaia di impressioni e di sensazioni, e di sottoimpressioni e di sottosensazioni, sempre più impalpabili e molecolari. Esse non restavano mai isolate: perché le reti le stringevano e le fondevano tra loro, formando delle "perle agglutinate", dei "grappoli affascinanti", delle "ghirlande". 
Questa, non altra, era la felicità: perle, grappoli, ghirlande, che, non si sa come, avevano tutti qualcosa di liquido, come se fossero condensazioni della sostanziale liquidità della vita. Oppure la felicità era "un certo splendore nello sguardo", diceva echeggiando forse senza saperlo Tolstoj, quando parlava di Natasa Rostov e di Anna Karenina. 
La felicità è quando, nelle profondità degli occhi, si aprono "delle caverne illuminate", che splendono perfino nei tristi vagoni della metropolitana; e la letteratura è "una caverna illuminata" da una luce che viene contemporaneamente dal di fuori e dal di dentro. Come dice un passo bellissimo della Signora Dalloway, la Woolf aveva appreso l'arte più ardua. 
Teneva l'esperienza, tutta la propria esperienza, anche quella più desolata e terribile, nelle proprie mani: la possedeva; e la "volgeva, con una lenta rotazione, verso la luce".

Pietro Citati
I fantasmi di Virginia Woolf
Repubblica 20 gennaio 1999

giovedì 1 ottobre 2015

Le sbarre d’ombra sono le vere sbarre, non saranno divelte

Se il muro fosse di pietra e non d’aria,
se attraverso il muro non si toccassero gli alberi,
se le alte sbarre d’ombra che ti rigano l’anima
fossero l’ombra di vere sbarre a cui potersi aggrappare,
se ricordassi lo scatto d’una porta che si chiude
alle tue spalle e il tintinnìo delle chiavi
alla cintura del carceriere che si allontana:
quale sollievo ne avresti nell'orrore!
Perché ciò che si chiude può tornare ad aprirsi,
la rocca più imponente può essere distrutta.
Ma dove sei non è porta, e nessuna porta s’aprirà.
E non è muro: nessun muro sarà abbattuto.
Le sbarre d’ombra sono le vere sbarre,
non saranno divelte. Tu confini con l’aria,
tocchi gli alberi, cogli i fiori, sei libera,
e sei tu stessa la tua prigione che cammina.

Margherita Guidacci
Neurosuite 
1970
in Le poesie
a cura di Mauro Del Serra 
Casa Editrice Le Lettere 1999