sabato 31 gennaio 2015

Giungere a un silenzio senza parole

Tu e io
nell'uso quotidiano
come persone al servizio della parola
che per dimenticanza giungono
a un silenzio senza parole
come una mano che tentoni, malsicura,
rovescia una sedia al buio, un vaso, un posacenere.

Tu e io
come non fosse stupendo
come non fosse stata un'ora soltanto
che più di un'ora non durerà
come non fosse un miracolo festoso
che il tuo giorno sia stato anche il mio
e che poi totalmente resti.

Natan Zach
Sento cadere qualcosa 
Poesie scelte 1960-2008
a cura di Ariel Rathaus
Eianudi 2009


venerdì 30 gennaio 2015

La stella del possibile sta nel nostro cielo

Il cielo
c'è più di tutto
(nessun dio),
ma c'è 
questa sciagura:
stella del possibile.

Ernst Meister
Il respiro delle pietre
a cura di Andrea Mecacci
Donzelli editore 2000

giovedì 29 gennaio 2015

Con la felicità profondamente addormentata sul tetto

Tu che scrivi ad un piccolo tavolo, io che aggiusto dei fiori e poi mi siedo a scrivere anch'io. Noi che raccogliamo pigne, legni sparsi e brughiera per il nostro fuoco. Ho pensato a che cosa avrei pronto per te, minestra e forse pesce, caffè, pane tostato sulla carbonella, un barattolo di marmellata, e un mazzo di rose. E poi ho pensato a notre bon lit à nous deux tous seuls, tous seuls, caché dans la nuit. Il fuoco che scoppiettava appena, il mormorio del mare..., con la felicità profondamente addormentata sul tetto, la testa sotto l'ala, come una colomba. E poi ho veduto noi svegliarci il mattino e mettere sul fuoco la grande cuccuma e aprire la porta alla domestica, che appende il suo scialle alla porta della cucina: "Vous savez, il fait beau...".

frammento di una lettera di Katherine Mansfield a John Middleton Murry
dicembre 2015

in Pietro Citati
Vita breve di Katherine Mansfield
Rizzoli 1980

mercoledì 28 gennaio 2015

Scrivere in una prosa speciale per arrivare al cuore dell'esperienza

Come arrivare al cuore dell'esperienza, si chiede, come disegnare la linea chiara, lieve, incisa alitante.
"Forse non in poesia, né forse in prosa. Quasi certamente in una sorta di prosa speciale".

Grazia Livi su Katherine Mansfield
Da una stanza all'altra
Stanza d'affitto
Garzanti 1984

martedì 27 gennaio 2015

Volare è molto più facile che scrivere un libro

Una perfetta felicità ha uno stile molto essenziale, qualità che ricorre in altri suoi libri. Lei in passato ha dichiarato che il suo romanzo ideale avrebbe dovuto infondere «una devastante gioia estetica» in ogni sua pagina. Ha raggiunto quest’obiettivo? 
«No. Anche perché ho cambiato idea. Le pagine di un romanzo devono risultare piacevoli alla lettura, ma non è una catastrofe se qualcuna non lo sia. Un libro non può essere giudicato da questo. Piuttosto, credo che l’impegno e il duro lavoro di un aspirante scrittore siano sicuramente importanti per avere successo in letteratura. Tuttavia, ciò non basta. Puoi sbatterti quanto vuoi, ma, se non hai talento, non vai da nessuna parte».

E che cos’è il talento? 
«È difficile da spiegare. Talento non significa solo saper scrivere bene. È altro. È un istinto, ecco». 

Come quello di volare, nella sua precedente vita? 
«No, non vedo una connessione in tutto questo. Avevo iniziato la carriera in aeronautica ed ero diventato pilota. Poi ho abbandonato tutto per fare lo scrittore. Ma sono due cose diverse. Volare è molto più facile che scrivere un libro, mi creda»

frammento dell'intervista di Antonello Guerrera a James Salter 
Repubblica martedì 27 gennaio 2015

lunedì 26 gennaio 2015

La molla del mio scrivere non è il divertimento: è la necessità

«Potrei dire: scrivere mi diverte. Ma non basta. Se io dicessi: mia moglie mi piace, direi la cosa sbagliata. La frase giusta è: amo mia moglie. Amore. 
Così è per la scrittura. 
Non è il divertimento la molla. 
È la necessità. 
Scrivere coinvolge l’intero mio essere»

frammento dell'intervista di Giancarlo De Cataldo a Ken Follet
Repubblica domenica 25 gennaio 2015

domenica 25 gennaio 2015

Tu sei altro dalle foglie e le foglie sono altro da sé

Definizione

Essere foglia
e obbligata
a comportarsi
come tutte le foglie,
pur capendo
e perfino potendo
essere in tutto e per tutto
altro:
ma da ciò
- a sorpresa -
non trarre la conclusione
che tu sei altro dalle foglie,
ma che loro, le foglie,
sono altro da sé.
Ecco una definizione

Ana Blandiana
Un tempo gli alberi avevano occhi
a cura di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni
Donzelli editore 2004

sabato 24 gennaio 2015

Parola e silenzio

Mi è
contro il silenzio
della pietra: perciò
io scrivo
l'acuto prima della notte,

e qualcosa dice:
Contraria mi è la parola
perciò taccio,
non parlo con nessuno,
neanche con me stesso,

fai splendere
la luna
su un'antica
figura

(che sa
quando andrò via
da qui)

Ernst Meister
Il respiro delle pietre
a cura di Andrea Mecacci
Donzelli editore 2000

venerdì 23 gennaio 2015

Ho allineato le bucce sulla pietra. Sono il mio alfabeto

Eppure di ciò che ho letto e perfino tradotto non conservo quasi nulla. Come davanti all'amato, non è abbastanza o e troppo, come prima di un appuntamento, nello specchio non c'è che un vuoto e un bagliore che è anche paura.
Ho messo tutto in tasca fugacemente e se rovescio le tasche, ecco non ci sono che frammenti: un po' di bucce, qualche biglietto. La rapina dunque non è riuscita. Resta la gratitudine, forse il coraggio. La gratitudine è per questo coraggio, per la solitudine che viene da un libro socchiuso.
Un fuoco arde, in lontananza. E' il roveto della mia balbuzie. Le frasi, come le bucce, sono nel buio. Ho allineato le bucce sulla pietra. Sono il mio alfabeto.

Antonella Anedda
Cosa sono gli anni
Senza recinti
Fazi 1997

giovedì 22 gennaio 2015

Trattato della lontananza

Nell'addio la separazione non è ancora avvenuta e tuttavia è già presente con la sua ombra. 
La lontananza non è ancora delineata, e tuttavia già s'affaccia con la sua spina.

(...)
L'addio è esperienza della lontananza prima che la lontananza ci sia davvero.

(...)
Nell'addio il prima e il dopo si danno appuntamento, convergono nello stesso istante, ciascuno carico della sua pena.

Antonio Prete
Trattato della lontananza
Bollati Boringhieri 2008

mercoledì 21 gennaio 2015

Il poeta è questa luce che taglia la scrittura

Spazio dell'abbandono

Siamo lo schermo, il corpo, questa luce
che taglia la scrittura.
Siamo l'alfabeto che scolora.

Vattene dico alla parola
cosa dubbiosa lasciami
cancella subito me stessa
fai che un altra ti prenda e ti raccolga
che mi sgombri dal tempo
e faccia nulla dalla mia persona
la privi come vuole di lamento
le scavi un vuoto aperto solo al vento.

Antonella Anedda
dalla rivista Caffè Michelangiolo  XV, 2, 2010

martedì 20 gennaio 2015

Lo stile e le parole necessarie sono il "centro" di ogni scrittore

In definitiva lei è arrivata a crearsi un suo stile molto personale. Posso chiederle quali strumenti ha usato?

Gli strumenti sono stati molti, lo sono per ogni scrittore. La cosa importante è riuscire a fonderli così come si cerca di fondere le varie componenti di sé fino ad arrivare al proprio “centro”.
Lo stile è espressione di questo centro, di questo “unicum”, che lo scrittore degno di questo nome (tanti, nel mondo, sono gli scriventi) cerca di esprimere con le sue parole più necessarie.
L’autenticità, infatti, è il fondamento di ogni scrittura che si rispetti.

frammenti di untervista di Maria Antonietta Cruciata a Grazia Livi
pubblicata sulla rivista Caffè Michelangiolo gennaio-aprile 2007

lunedì 19 gennaio 2015

Scrivere è una continua presenza a se stessi: in ricordo di Grazia Livi

Grazia Livi era una scrittrice di genio, una donna straordinaria e una grande amica. E' scomparsa a Milano il 18 gennaio 2015.

Voglio ricordarla ripubblicando la voce che le ho dedicato per l'Enciclopedia della donne.

Grazia Livi

Firenze 19 marzo 1930 - Milano 18 gennaio 2015

Nata in una famiglia fiorentina di intellettuali e docenti universitari, Grazia Livi sente in tenera età il richiamo di una vocazione. «Avevo sette anni quando dichiarai in famiglia che volevo diventare scrittrice. Per una serie di coincidenze e di scelte ho poi onorato quel sogno ingenuo, che mi permetteva di salvarmi dai naufragi della sensibilità, mi spingeva a rafforzarmi nella disciplina, mi avviava verso un progetto di indipendenza. La parola scritta ha così dominato la mia vita. Tuttora la domina. Anche se la figura di scrittrice che immaginai da bambina si è trasformata, a causa dei profondi mutamenti sociali: omologazione, potenza dei media, mercato trionfante, globalità; ormai non coincide più con quel ruolo, quel mito. Non esiste più. Al posto di quella figura c’è una donna come tante, la cui particolare inclinazione è di farsi assorbire dalle parole scritte e la cui esigenza è di cercare una sintesi che valga per la conoscenza e per la solitudine». Inizia con questa dichiarazione la raccolta di saggi di Grazia Livi Narrare è un destino. La proclamazione di se stessa come scrittrice è dunque coronata da un’intera esistenza consacrata alla scrittura e dedicata a interpretare e avvicinare il mistero della scrittura femminile. 
Dopo essersi laureata in filologia romanza con Gianfranco Contini e avere avuto come maestri anche De Robertis, Longhi, Salvemini e Migliorini, intraprende una vita da donna sposata ma già emancipata, in anticipo sui tempi e con la volontà precisa di «sottrarre la mia identità all’informe destino femmineo». Il lavoro di giornalista e inviata per «La Nazione», «Epoca», «Il Mondo» e «L’Europeo» le fa incontrare alcune tra le più eminenti figure del Novecento, come Le Corbusier, Menuhin, Schweitzer, rimanda solo di poco il confronto con la grande sfida della scrittura, l’esigenza che «le parole mettessero ordine, conferissero un senso, una lucidità, una ragione». L’intensa attività giornalistica finì quando Grazia sentì che era arrivato il momento di “rientrare a casa. La casa del linguaggio e approdo e permanenza... e come scrisse Gianna Manzini a proposito di Virginia Woolf, il problema sarà «imparare a raccogliersi l’anima e a tenerla in fronte come la lampada dei minatori»". La bambina distratta e sognatrice si desta dunque da un sogno lungo una vita ed entra nella realtà della scrittura, nella pagina non più bianca dove la parola scritta regna e rimedia il disordine e le lacerazioni dell’anima. La fame di parole veniva saziata da letture precoci di scrittrici e scrittori che saranno poi i compagni della vita, i modelli e una fonte altissima di ispirazione. La lettura sarà, così come accade per una delle protagoniste di uno dei suoi racconti, un’isola di beatitudine e di pace. Lo studio tenace prima e la concretezza del lavoro di giornalista le diedero parte degli strumenti che, uniti al carattere determinato e all’amore per le parole, le permisero di dedicare la vita alla scrittura. Le tappe della consapevolezza e della maturazione segnano il giro dei decenni. A venti anni «il sogno di diventare scrittrice si radicò in me come una priorità»; passati i trent’anni «capii che dovevo affrontare me stessa, dando ascolto alle mie vere aspirazioni e organizzando i miei talenti». Il primo romanzo Gli scapoli di Londra venne recensito sul «Corriere della Sera» da Eugenio Montale che affermò «che poche donne sanno scrivere come Grazia Livi». Anche il poeta Mario Luzi le scrisse una lettera di apprezzamento che preconizzava «intravedo nel suo lavoro un destino d’artista». Tra gli incontri significativi della sua vita vanno senz’altro ricordati quello con Anna Banti, cui ha dedicato un bellissimo saggio nel libro Le lettere del mio nome. La Banti, altera e tranchant nei giudizi, era un’autorità letteraria riconosciuta, certo non era una donna materna ma amava incoraggiare persone che riteneva avessero valore. Lontana per età e censo dalle rivendicazioni femministe, rimproverava un po’ alla Livi il suo essere femminista, ma fu lei a incoraggiarla a scrivere e le commissionò i primi articoli per la rivista «Paragone» a partire da quello dedicato a Virginia Woolf che la Banti definì “bellissimo”. Tra le tante amicizie importanti ne ricordiamo due anche perché da anni segnano un rapporto di scambio artistico e letterario. Le due scrittrici sono Marisa Bulgheroni, studiosa e traduttrice di Emily Dickinson, e Gabriella Fiori autrice di una bellissima biografia della filosofa Simone Weil e studiosa di Maria Zambrano. La consapevolezza di sé è conquistata anche grazie all’analisi junghiana, leggere un saggio di Jung le diede «un senso di rivelazione. Più ancora dei concetti, mi colpì la dimensione nei quali erano immersi: vasta, feconda gratificante. Sentii un’aria di perennità». Fu così grazie all’analisi che «venni a patti con le mie aspirazioni: nessuna parola scritta avrebbe esaurito la verità tutta intera. Di conseguenza divenni più aperta al lato notturno della vita: ambiguità, contraddizioni. Anche la mia scrittura subì a poco a poco dei cambiamenti. Due almeno mi sono chiari. Uno è il ritmo che si fece più mosso e ondulato, come spinto dall’interno verso l’esterno da un’energia ridestata. L’altro riguarda il lessico che perse certe angolosità e forse si aprì all’ingresso di vocaboli più impuri e polivalenti». Da questa apertura sono nati alcuni dei libri italiani più belli degli ultimi decenni, come Da una stanza all’altra, dedicato a Jane AustenKatherine Mansfield, Caterina Percoto,  Emily Dickinson, Anaïs Nin, Virginia Woolf; Le lettere del mio nome, un romanzo-saggio dove incontra, straordinarie figure femminili, alcune già raccontate nel libro precedente, come Colette, Virginia Woolf, Gertrude Stein, Anne Frank, Gianna Manzini, Anna Banti, Ingeborg Bachmann, Carla Lonzi, Agnes Bojaxhiu. Leggendo Grazia Livi accade che i suoi libri ci parlino dal profondo e profondamente di noi, non tanto di quanto già sapevamo e condividiamo con la scrittrice, ma di quanto non sapevamo di essere e di sapere. Con i racconti del volume Il vento e la moto, una volta di più si sente la sua capacità di suscitare meraviglia. Accettando l’assioma che la vera esperienza è indicibile e il silenzio la sua lingua, in questa indicibilità lei è capace di cogliere il cuore muto e luminoso della verità. Capace di raccontare la verità delle esistenze femminili come pochi altri scrittori contemporanei, Grazia Livi racconta poi gli uomini, figli e padri in particolare, con un lento avvicinamento che rivela la radicale alterità del genere maschile. È con il romanzo Lo sposo impaziente, dedicato a Tolstoj e alla moglie Sof’ia Andreevna e in parte ispirato dai loro diari, che lei narra, con tono febbrile, il viaggio e la prima notte di nozze della coppia, l’atmosfera russa, i tormenti dell’anima, il conflitto tra artista e comunità, la passione della scrittura: «Sentiva un furioso bisogno di annotare, ma temeva di non avere niente indosso per farlo». Per poter parlare di questo grande scrittore Livi è stata in Russia, è partita dai documenti e ha messo in relazione due psicologie per arrivare a dire nell’intimo la realtà di un’anima maschile. Sempre piena di stupore e curiosità sa accogliere con impazienza e generosità le richieste di chi inizia a muovere i primi passi nel mondo della scrittura. E più che raccontarsi fa domande perché ha un interesse genuino nei confronti degli esseri umani. Continua a scrivere, circondata dai libri più amati perché «la parola scritta, ha esercitato su di me un particolare incanto. Questo incanto è stato accompagnato misteriosamente, da una specie di obbligo interno, a cui ho obbedito, negli anni facendo dello scrivere la mia professione. Nessuno mi ha mia chiesto, né imposto di scrivere, tranne io stessa. Anzi le circostanze mi hanno spesso scoraggiata. L’assoluta gratuità di questa mia scelta è l’unico segno della sua necessità». Riservata per quanto riguarda gli aspetti della vita privata, Grazia Livi è stata sposata due volte. La vita di coppia e la nascita del figlio Gabriele non le hanno impedito di raggiungere il destino agognato, essere una donna che scrive. Scrivere «è una continua presenza a se stessi… perché la scrittura non è un altro.. la scrittura è permeata dai miei pensieri». 

Fonti, risorse bibliografiche, siti
G. Livi, La distanza e l’amore, Garzanti 1978
G. Livi, L’approdo invisibile, Garzanti 1980
G. Livi, Da una stanza all’altra, Garzanti 1984
G. Livi, Le lettere del mio nome, La Tartaruga edizioni 1991
G. Livi, Vincoli segreti, La Tartaruga edizioni 1994
G. Livi, La finestra illuminata, La Tartaruga edizioni 2000
G. Livi, Narrare è un destino, La Tartaruga edizioni 2002
G. Livi, Lo sposo impaziente, Garzanti 2006
G. Livi, Il vento e la moto, Garzanti 2008

Scrivere è sfidare il linguaggio

La scrittura è una necessità?
«Noi scrittori siamo stati toccati da una benedizione: abbiamo scelto di dare vita a discorsi che altrimenti resterebbero muti. È una meraviglia, sì. Anche se a volte mi capita di pensare che sia una maledizione».

Ennio Morricone sostiene che «l’ispirazione non esiste, c’è solo il duro lavoro».
«Vorrei che fosse vero: purtroppo è necessario avere un’ispirazione, altrimenti non il lavoro non c’è affatto. Un’idea felice ti può fare andare avanti per mesi, anni. Ma se questa non c’è non ci sarà neanche l’energia o la motivazione per scrivere».

(...)

Lei è una scrittrice estremamente prolifica: cosa rappresenta la scrittura nella sua vita?
«So che non ci crederà, ma non mi considero prolifica. Scrivere è lavorare con il linguaggio: una sfida eccitante, che molto stesso, però, genera
frustrazione».

frammenti dell'intervista di Antonio Monda a Joyce Carol Oates
Repubblica sabato 18 gennaio 2015

domenica 18 gennaio 2015

La memoria del corpo è al di là della memoria

Al di là
La memoria del corpo è al di là della memoria,
mano e tocco, stretta, odio, amore,
tutte le umane cose
sono troppo lontane, irraggiungibili.
Nulla guarisce, tutto resta aperto.
Incerto, un uomo siede e scrive.

Pensate all'enormità:
ricurvo, accanto a un lume da tavola,
un uomo non più giovane non ancora esperto
scrive e cancella, scrive e poi corregge,
svela e nasconde, talvolta persino
nervosamente ride un po' tra sé, e si alza,
guarda dalla finestra quasi voglia accertarsi
che tutto è ancora lì, si ferma un po', ritorna
al lavoro, si chiama ancora sul foglio, accanto
alla lampada, quasi fosse, ciò che fa,
ciò che svela e ciò che nasconde,
importante o necessario o addirittura
la più importante cosa a questo mondo.


Natan Zach
Sfavorevole agli addìì
Scelta e traduzione di Ariel Rathaus
Donzelli editore 1996

sabato 17 gennaio 2015

Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia?

Poiché non sappiamo quando moriremo, 
si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; 
però tutto accade solo un certo numero di volte, 
un numero minimo di volte. 

Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia? 

Un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che, 
senza, neanche riuscireste a concepire la vostra vita; 
forse altre quattro o cinque volte, 
forse nemmeno. 

Quante altre volte guarderete levarsi la luna? Forse venti. 

Eppure, tutto sembra senza limite.



monologo finale da Il tè nel deserto di Bernardo Bertolucci,
tratto dall’omonimo romanzo di Paul Bowles

venerdì 16 gennaio 2015

Eppure eccomi qua, a scrivere versi

Mio angelo, io non seppi mai quale angelo
fosti, o per quali vie storte ti amai
o venerai, tu che scendendo ogni gradino
sembravi salirli, frustarmi, mostrarmi
una via tutta perduta alla ragione, quando
facesti al caso quel che esso riprometteva,
cioè mi lasciasti.

Non seppi nemmeno perché tra tanti chiarori
eccitati dell’intelletto in pena, vi
furono così sotterranee evoluzioni d’un
accordarsi al mio, al vostro e tuo bisogno
d’una sterilità completa.

Eppure eccomi qua, a scrivere versi,
come se fosse non del tutto astratto
alla mia ricerca d’un enciclopedico
capire quasi tutto a me offerto senza
lo spazio di una volontà di ferro a controllare
quel poco del tutto così mal offerto.

Amelia Rosselli
Documento (1966-1973)
Garzanti 1976

giovedì 15 gennaio 2015

La poesia è come terracotta. Facilmente si spezza sotto il peso dei versi

Dirlo altrimenti

La poesia chiarisce il già chiarito, con cautela sceglie
cose già scelte, a meraviglia ordina
cose ordinate. Dirlo altrimenti
è difficile, se non impossibile.
La poesia è come terracotta. Facilmente si spezza
sotto il peso dei versi. Poetante in mano del poeta, in altra mano
non è neppure poetica: è impossibile.

Natan Zach
Sfavorevole agli addìì
Scelta e traduzione di Ariel Rathaus
Donzelli editore 1996

mercoledì 14 gennaio 2015

L'anima russa di Virginia Woolf

Leggendo Cechov ci troviamo a ripetere ancora e ancora la parola “anima”. È ovunque tra le sue pagine. Vecchi ubriaconi la usano liberamente: «…vi siete elevato di grado, siete di quelli che stanno molto in alto; ma, golubcik, quello che vi manca è una vera anima… nella vostra non c’è forza…». In verità, è l’anima il personaggio principale della narrativa russa. Delicata e sottile in Cechov, essa è soggetta a un infinito numero di umori e malumori, mentre in Dostoevskij ha maggiore volume e profondità; spesso afflitta da violente malattie e furiose febbri, è comunque la preoccupazione predominante. 
Forse è per questo che ci vuole tanto sforzo da parte di un inglese per leggere I fratelli Karamazov o I demoni una seconda volta. 
L’anima gli è aliena. Gli è persino antipatica.

Virginia Woolf
L'anima russa
traduzione di Veronica La Peccerella
a cura di Benedetta Bini
Elliot 2015

brano tratto da questo libro e anticipato su Repubblica di martedì 13 gennaio 2015

martedì 13 gennaio 2015

Il decalogo del perfetto scrittore di racconti

Perché solo il decimo precetto?

Ecco Il decalogo del perfetto scrittore di racconti completo



 1) credi in un maestro – Poe, Maupassant, Kipling Cechov – come in Dio stesso. 
 2) Credi nell'arte del racconto come una vetta inaccessibile, Non illuderti di domarla. Quando sarai in grado di farlo, ci riuscirai senza saperlo tu stesso.

3) Resisti più che puoi all'imitazione, ma imita se l'influsso è troppo forte. Più che ogni altra cosa, lo sviluppo della personalità richiede una lunga pazienza.

4) Abbi una fede cieca non nella tua capacità di poter trionfare, ma nell'ardore con cui lo desideri. Ama la tua arte come la tua fidanzata, dandole tutto il tuo cuore.

5) Non cominciare a scrivere senza saper fin dalla prima parola dove stai andando. In un racconto ben riuscito, le prime tre righe sono quasi importanti quanto le ultime tre

6) Se vuoi esprimere con esattezza questa circostanza: "Dal fiume soffiava il vento freddo", non ci sono nella lingua umana, più parole di quelle annotate per esprimerla. Una volta padrone delle tue parole, non ti preoccupare di osservare se tra loro sono consonanti o dissonanti

7) Non aggettivare senza necessità. Inutili saranno quante code di colore tu possa aggiungere a un sostantivo debole. Se trovi quello preciso, esso da solo avrà un colore incomparabile. Ma bisogna trovarlo.

8) prendi i tuoi personaggi per mano e portali fermamente fino al finale, senza vedere altra cosa che il cammino gli hai tracciato. Non distrarti vedendo tu quello che loro non possono o non gli importa vedere. Non abusare del lettore. Un racconto è un romanzo depurato dai riempitivi. Considera ciò come una verità assoluta, nonostante non lo sia.

9) Non scrivere sotto l'imperio dell'emozione. Lasciala morire, ed evocala in seguito. Se sei capace di riviverla tale e quale è stata, sei arrivato nell'arte a metà del cammino.

10) Non pensare ai tuoi amici mentre scrivi, nè all'impressione che farà la tua storia. Racconta come se la tua storia non avesse alcun interesse se non per il piccolo ambiente dei tuoi personaggi, di cui saresti potuto essere uno di loro. Non si ottiene in altro modo la vita del racconto
Horacio Quiroga
traduzione di Carmelo Pinto
Decálogo del perfecto cuentista

1) Cree en un maestro -Poe, Maupassant, Kipling, Chejov- como en Dios mismo.

2) Cree que su arte es una cima inaccesible. No sueñes en domarla. Cuando puedas hacerlo, lo conseguirás sin saberlo tú mismo.

3) Resiste cuanto puedas a la imitación, pero imita si el influjo es demasiado fuerte. Más que ninguna otra cosa, el desarrollo de la personalidad es una larga paciencia

4) Ten fe ciega no en tu capacidad para el triunfo, sino en el ardor con que lo deseas. Ama a tu arte como a tu novia, dándole todo tu corazón.
5) No empieces a escribir sin saber desde la primera palabra adónde vas. En un cuento bien logrado, las tres primeras líneas tienen casi la importancia de las tres últimas.

6) Si quieres expresar con exactitud esta circunstancia: "Desde el río soplaba el viento frío", no hay en lengua humana más palabras que las apuntadas para expresarla. Una vez dueño de tus palabras, no te preocupes de observar si son entre sí consonantes o asonantes.

7) No adjetives sin necesidad. Inútiles serán cuantas colas de color adhieras a un sustantivo débil. Si hallas el que es preciso, él solo tendrá un color incomparable. Pero hay que hallarlo.

8) Toma a tus personajes de la mano y llévalos firmemente hasta el final, sin ver otra cosa que el camino que les trazaste. No te distraigas viendo tú lo que ellos no pueden o no les importa ver. No abuses del lector. Un cuento es una novela depurada de ripios. Ten esto por una verdad absoluta, aunque no lo sea.
9) No escribas bajo el imperio de la emoción. Déjala morir, y evócala luego. Si eres capaz entonces de revivirla tal cual fue, has llegado en arte a la mitad del camino

10) No pienses en tus amigos al escribir, ni en la impresión que hará tu historia. Cuenta como si tu relato no tuviera interés más que para el pequeño ambiente de tus personajes, de los que pudiste haber sido uno. No de otro modo se obtiene la vida del cuento.

lunedì 12 gennaio 2015

Il decimo precetto di Horacio Quiroga e Julio Cortázar

Una volta Horacio Quiroga tentò un “decalogo del perfetto scrittore di racconti”, il cui titolo è già un ammicco al lettore. Se nove dei precetti sono decisamente prescindibili, l'ultimo mi sembra di una lucidità impeccabile: “Racconta come se la narrazione non avesse interesse che per il circoscritto ambiente dei tuoi personaggi, uno dei quali avresti potuto essere tu. Non altrimenti si ottiene la vita nel racconto”.

Julio Cortázar
Del racconto breve e i suoi dintorni
Bestiario
traduzione di Fraviarosa Nicoletti Rossini e Vittoria Martinetto
Einaudi 2005

domenica 11 gennaio 2015

Intricato e fitto è il ricamo delle circostanze

Non occorre titolo

Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in un mattino assolato.
È un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi degni di memoria.

Tuttavia siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da una qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
proprio come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.

Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato,
il suo venerdì prima di sabato,
il suo maggio prima di giugno.
Ha i suoi orizzonti non meno reali
di quelli nel canocchiale dei capitani.

Quest’albero è un pioppo radicato da anni.
Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri.
Il sentiero è tracciato fra i cespugli
non dall’altro ieri.
Il vento per soffiare via le nuvole
ha dovuto prima spingerle qui.

E anche se nulla di rilevante accade intorno,
non per questo il mondo è più povero di particolari,
peggio fondato, meno definito
di quando lo invadevano i popoli migranti.

Il silenzio non accompagna solo i complotti,
né il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.

Intricato e fitto è il ricamo delle circostanze.
Il punto della formica nell'erba.
L’erba cucita alla terra.
Il disegno dell’onda in cui si infila un fuscello.

Si dà il caso che io sia qui e guardi.
Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria
ali che sono soltanto sue
e sulle mani mi vola un’ombra,
non un’altra, non d’un altro, ma solo sua.

A tale vista mi abbandona sempre la certezza
che ciò che è importante
sia più importante di ciò che non lo è.

Wislawa Szymborska
La fine e l’inizio

traduzione di Pietro Marchesani
Scheiwiller 1993

sabato 10 gennaio 2015

Scrivere poesia nella povertà di una cucina

Accade che una luce filtrando fredda da una vetrata italiana getti un arco fino ai padiglioni pietroburghesi, fino all'immagine di una dacia dove un bicchiere gelato tintinna.
Può accadere che le forme del nostro mondo, ciò che accompagna con gli uccelli il mattino: la tazza, il latte, la fiamma, i suoni confusi oltre le piante e le pareti, siano illuminati davvero solo dalla distanza e resi concreti solo dall'eco di una voce.
Ci sono versi che si possono immaginare scritti solo nella povertà di una cucina, accanto a una minestra che bolle, a una sedia intiepidita dal fuoco.
Capiamo che fino alla fine gli oggetti saranno mischiati al linguaggio: terracotta e luce, pesantezza della materia e grazia della conoscenza. 
Così è in Pasternak e in Anna Achmatova, per i quali i dettagli: la brocca e l'icona, il tappeto e il lenzuolo, sono le fessure attraverso cui accogliere l'universale. Così è per Bella Achmadulina e per la solitudine con cui ha raccontato un'esistenza fatta di poche cose: l'anello di ghiaccio, il grammofono, la candela sul tavolo e Peredelkino*, l'Arbat**, luoghi evocati dal breve cenno delle stagioni, dalla nuova neve, dalla caduta delle mele.

Antonella Anedda
Cosa sono gli anni
Saggi e racconti
Sui pavimenti di pietra
Fazi editore 1997

* è il luogo dove si trovano la casa e la tomba di Pasternak, un complesso edilizio di dacie assegnato all'Unione degli scrittori sovietici nell'epoca staliniana Babel e Bachtin.
** quartiere moscovita

venerdì 9 gennaio 2015

Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne

Possibilità

Preferisco il cinema.
Preferisco i gatti.
Preferisco le querce sul fiume Warta.
Preferisco Dickens a Dostoevskij.
Preferisco me che vuol bene alla gente
a me che ama l’umanità.
Preferisco avere sottomano ago e filo.
Preferisco il colore verde.
Preferisco non affermare
che l’intelletto ha la colpa di tutto.
Preferisco le eccezioni.
Preferisco uscire prima.
Preferisco parlar d’altro coi medici.
Preferisco le vecchie illustrazioni a tratteggio.
Preferisco il ridicolo di scrivere poesie
al ridicolo di non scriverne.
Preferisco in amore gli anniversari non tondi,
da festeggiare ogni giorno.
Preferisco i moralisti, che non mi promettono nulla.
Preferisco una bontà avveduta a una credulona.
Preferisco la terra in borghese.
Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori.
Preferisco avere delle riserve.
Preferisco l’inferno del caos all’inferno dell’ordine.
Preferisco le favole dei Grimm alle prime pagine.
Preferisco foglie senza fiori che fiori senza foglie.
Preferisco i cani con la coda non tagliata.
Preferisco gli occhi chiari, perché li ho scuri.
Preferisco i cassetti.
Preferisco molte cose che qui non ho menzionato
a molte pure qui non menzionate.
Preferisco gli zeri alla rinfusa
che non allineati in una cifra.
Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale.
Preferisco toccar ferro.
Preferisco non chiedere per quanto ancora e quando.
Preferisco considerare persino la possibilità
che l’essere abbia una sua ragione.

Wislawa Szymborska
Gente sul ponte
traduzione di Pietro Marchesani
Scheiwiller 1996

giovedì 8 gennaio 2015

Scrivere meglio, scrivere dopo

(... ) i veri scrittori invecchiando diventano migliori. 
In alcuni casi, come quello di Elena Ferrante, incomparabilmente migliori.
E che la letteratura, come sa chiunque la ami davvero, è una delle poche attività umane in cui l'esperienza conta più dell'esuberanza e gli anni che passano sono un dono.

Elena Stancanelli a proposito di Elena Ferrante
su Repubblica RSera web del 5 gennaio 2015

mercoledì 7 gennaio 2015

Oh potessi avere la leggerezza della prosa

La notte era una splendida canna di giunco

La notte era una splendida canna di giunco
i suoi provvisori accecamenti erano di giunco
i suoi averi scappavano dalle mie mani
le sue filantropie erano di giunco.
Oh potessi avere la leggerezza della prosa
o di quel inverno che fu così ben racchiuso
fra i tetti impiantati: questa strada d'inverno
è come se qualcuno l'avesse saccheggiata.
Oh potessi realizzare le rissa degli angioli
indovinati fra le colonne vertebrate, così
come la strada precipita senza segno, senso
per un vuoto putiferio per un mistico
soliloquio.


Amelia Rosselli
Documento
Garzanti 1976

martedì 6 gennaio 2015

la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava

Cos'era
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava,
che cadeva, riempiva l'oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea
di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
affoga in sé, qualcosa che va, un'alluvione di suono, ma meno
di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre,
e sempre perché, e solo perché, essendo stato, era...

Era l'inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.
Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l'ora che pareva dire
che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai più chiesto nulla. Era quello. Senz'altro era quello.
Era anche l'evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore riusciva
a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa
dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello
dimenticato da lei, la penna che lei lasciò sul tavolo.
Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
Mark Strand
L'inizio di una sedia
a cura di Damiano Abeni
Donzelli editore 1999



It was impossible to imagine, impossible
Not to imagine; the blueness of it, the shadow it cast,
Falling downward, filling the dark with the chill of itself,
The cold of it falling out of itself, out of whatever idea
Of itself it described as it fell; a something, a smallness,
A dot, a speck, a speck within a speck, an endless depth
Of smallness; a song, but less than a song, something drowning
Into itself, something going, a flood of sound, but less
Than a sound; the last of it, the blank of it,
The tender small blank of it filling its echo, and falling,
And rising unnoticed, and falling again, and always thus,
And always because, and only because, once having been, it was...

II 

It was the beginning of a chair;
It was the gray couch; it was the walls,
The garden, the gravel road; it was the way
The ruined moonlight fell across her hair.
It was that, and it was more. It was the wind that tore
At the trees; it was the fuss and clutter of clouds, the shore
Littered with stars. It was the hour which seemed to say
That if you knew what time it really was, you would not
Ask for anything again. It was that. It was certainly that.
It was also what never happened - a moment so full
That when it went, as it had to, no grief was large enough
To contain it. It was the room that appeared unchanged
After so many years. It was that. It was the hat
She'd forgotten to take, the pen she left on the table.
It was the sun on my hand. It was the sun's heat. It was the way
I sat, the way I waited for hours, for days. It was that. Just that.

lunedì 5 gennaio 2015

Cechov, l'insonnia e un bicchiere di acqua di rose

Insonnia invernale

La mente non può dormire, può solo giacere sveglia,
ingolfata, ad ascoltare la neve che si aduna
come per l'assalto finale.

Vorrebbe che venisse Cechov a somministrarle
qualcosa- tre gocce di valeriana, un bicchiere
d'acqua di rose- qualunque cosa, non importa.

La mente vorrebbe uscire di qui
fuori sulla neve. Vorrebbe correre
con un branco di bestie irsute, tutte denti,

sotto la luna, in mezzo alla neve, senza
lasciare traccia, neanche un' impronta, nulla.
È malata, stasera, la mente.

Raymond Carver
Voi non sapete cos'è l'amore
traduzione di Riccardo Duranti
minimum fax 2000


Winter Insomnia

The mind can’t sleep, can only lie awake and
gorge, listening to the snow gather as
for some final assault.
It wishes Chekhov were here to minister
something - three drops of valerian, a glass
of rose water - anything, it wouldn’t matter.
The mind would like to get out of here
onto the snow. It would like to run
with a pack of shaggy animals, all teeth,

under the moon, across the snow, leaving
no prints or spoor, nothing behind.
The mind is sick tonight.

domenica 4 gennaio 2015

Questa notte insegna solitudine

È scesa la notte di una domenica notte
di un tavolo con la tovaglia cerata
e strade in salita e inghiottite da buio.
Non nevica da giorni.
Il marciapiede asciuga sui suoi fianchi
schegge di asfalto e fischio morto di fuochi.
Nessun incanto né memoria di un gesto
desiderio e cenere verde dell’abete –
nessun tremore nel volto accanto al nostro.
Questa notte insegna solitudine
sceglie un nome alle cose: al muro
nell’alba d’estate
alle scarpe tra i rovi
prima della discesa sulla sabbia.
Eppure nessuno ha mai sottratto qualcosa
noi siamo uniti – stelle
rese perfette dalla tenebra, pietre
premute sulla pietra della stanza in penombra.
Le cose che amiamo, le cose che custodiamo
le sere come questa più lontana di altre
indecifrabile nella sua fredda luce
sono spettri dei mondi che verranno.
Un lampo batte sui bambini addormentati
sul tavolo sgombro e pulito.
Tutto è quaggiù – il poco, l’immenso
che avanza verso l’alba feriale.
Antonella Anedda
Notti di pace occidentale 
Donzelli Editore 1999


sabato 3 gennaio 2015

il pomeriggio è così chiaro che non s'osa fare il minimo rumore per timore che si spezzi

Il giorno non scompare di colpo; né la notte cala improvvisamente. Si ha piuttosto l'impressione di un accumularsi graduale, come di una marea prolungata all'infinito (...) l'osservatore non ha la minima impressione di fretta: come se qualcosa di straordinariamente importante si compisse con pazienza fuori dal tempo (...) Sono questi i momenti migliori, i momenti in cui i sensi, abbandonati a se stessi, raggiungono una sensibilità squisita. Si resta sulla barriera a guardare, ascoltare, sentire (...) il pomeriggio è così chiaro che non s'osa fare il minimo rumore per timore che si spezzi.

Richard Byrd
Alone
Putnam 1938